ID. SHOW - 2010/19

Pennarelli, forbici, colla, magazine. Una parete sulla quale si susseguono ritratti identici, monocromie di un personaggio dai tratti riconoscibili, privato di occhi e bocca -gli elementi che veicolano la comunicazione in un volto- in seguito ad un atto di cancellazione operato con Photoshop. Lorenzo Ghelardini parte da questi elementi per innescare il meccanismo di un singolare autoritratto in cui l’artista sospende ogni giudizio per affidare la sua identità al pubblico, che si delinea in modo sempre differente in seguito ad ogni intervento inflitto dallo spettatore.

In un’epoca in cui in cui siamo sempre impegnati ad esprimerci e a parlare delle nostre vite, in cui la privacy è subordinata all’esigenza di rimanere connessi con il resto del mondo, ID Show propone una versione problematica dell’autoritratto dove l’identità dell’artista viene messa doppiamente in discussione. Quello di Ghelardini infatti non è soltanto un atto che lascia aperto all’intervento del pubblico la definizione della sua immagine personale, ma anche un gesto che innesca una riflessione sul ruolo dell’artista nella realizzazione dell’opera e sul concetto di autorialità.

ID Show è in un certo senso uno spettacolo che ricalca dei talk show televisivi dove è la partecipazione del pubblico a determinare la popolarità del personaggio; allo stesso modo la personalità dell’artista viene declinata dalla libera adesione di un’audience che cambia di volta in volta, in un happening che si ripete in luoghi e contesti differenti, in tempi vari e discontinui. Fedele alla linea fluida di Allan Kaprow, possiamo considerarlo una performance partecipata che mantiene indistinto il confine tra arte e vita.

E’ un’arte ludica, quella di Lorenzo Ghelardini, che privilegia il divertissement agli aspetti più elitari della pratica artistica, pur mantenendo saldi i principi della partecipazione nell’esperienza diretta del fruitore. Attraverso lo strumento del gioco, sovverte lo status implicito al concetto più tradizionale di arte intesa come ordine creato da un singolo autore e non modificabile, e invita il pubblico a recepire e interpretare il suo lavoro attraverso l’interazione, puntando all’elaborazione collettiva del significato dell’opera descritta da Nicholas Bourriaud.

Dietro la quinte del suo lavoro, l’artista rimane in disparte a guardare l’andamento di ogni esperimento. Finito il momento dell’azione, un po’ come uno scienziato diligente un po’come un egocentrico collezionista, si ritrova a sfogliare un album di autoritratti partecipati.

 

Manu Buttiglione

Una o più pareti di un ambiente vengono ricoperte da un numero variabile di fogli di carta (A3) con la stampa in b/n di un autoritratto fotografico sintetizzato con programmi di fotoritocco.

Successivamente dal soffitto vengono fatti calare, legati ad un filo o ad una catenella, gli elementi necessari per l’intervento sulle stampe: pennarelli colorati (rosso, giallo, blu, verde, nero), colla stick e forbici. Sul pavimento sono poi sparse delle riviste ricche di immagini da poter ritagliare ed incollare.

 

The walls of a room will be completely covered by a variable number of paper sheets (A3) with a print in b/w of a photographic portrait of myself, synthesized using the Photoshop program.

The materials necessary for use on the prints, such as coloured pens, stick glue and scissors, will hang from the ceiling on string or chains. On the floor will be scattered magazines full of images that can be cut and pasted.

Arte Urbana Lugano - Musicnet Festival, Centro esposizioni, Lugano (CH). 2012

"Add Up!", Spazio Barnum, Bologna. 2010

Val Sambro Contemporary Art Contest, Centro Cosmoderma, San Benedetto Val Di Sambro (BO). 2010